giovedì 24 aprile 2008

UN ARTISTA DI NOME: GIOVANNI FILIPPONE




Giovanni Filippone, nato a S. Giovanni Gemini nel 1922, sin da bambino manifesto spiccate dati artistiche che i familiari, pur a forza di sacrifici, cercarono di assecondare. Dopo pochi anni, però, per ragioni finanziarie dovette troncare a malincuore gli studi, ma il prof. Pittore Spinelli di Palermo, conoscendo il giovane promettente artista, l’ospitò in famiglia e lo indusse a frequentare il liceo artistico di Palermo.Qui dimostro subito le sue innate capacità e fu apprezzato da tutti, compagni e professori. Vinse molte borse di studio e nei “Ludi Yuveniles della cultura e dell’arte” Firenze, si classifico sempre fra i primi. Taciturno e ribelle non volle terminare gli studi a Palermo, ma frequentò gli ultimidue anni all’accademia di Brera a Milano, fuggendo dalla sua Sicilia senza una lira,ma con un copioso bagaglio artistico. All’Accademia si distinse subito in occasione delle mostre d’arte dedicate al disegno, organizzate dal Consiglio dei Professori dell’Accademia di Brera e i critici d’arte, sulla Stampa Milanese, giudicarono i suoi disegni tra i migliori. Inoltre all’Accademia ha vinto il premio “Hayz” che era stato sempre monopolio di esponenti della pittura del nord. Anche Milano diventa troppo ristretta per il suo spirito irrequieto.
Egli fugge per Parigi dove vi dimora alcuni anni tra peripezie e sacrifici, lottando anche con la fame, vicino al pittore Severini. Ritornato in Italia, ospite di un armatore genovese si imbarca ed effettua una crociera, che durerà un anno. Visita la Corsica, Gibilterra, Casablanca, la Grecia e, rientra a Milano, riparte poi per la Svizzera a l’Austria; non trova angolo di terra dove riposarsi. Iniziò all’età di 23 anni a partecipare alle mostre e nelle sue opere è sempre presente la sua Sicilia con i suoi colori e con i suoi problemi. Su uno dei suoi quadri “Il Pastorello”, presente ad una mostra di pittura tenutasi al Banca di Sicilia di Palermo, la Stampa il 7 gennaio 1958 ha scritto: “Esso riflette non solo l’animo dell’artista amabilmente chiuso, pensosamente timido, inconsapevolmente ribelle, ma anche l’animo stesso del moderno “Pastorello” siciliano, in atteggiamento pensoso di ribellione ad una vita grama, con un braccio quasi spezzato non dalla fatica, ma dall’imperioso anelo di divincolamento da una tradizione di miseria acquiescente; gli occhi sono muti nella loro espressività, mentre un vecchio tronco d’albero appena appariscente, sul quale si appoggia il braccio del pastorello, vorrebbe simboleggiare la fine di una età stantia e di miseria, di una tradizione regionale quasi superata. Passa gli anni in giro per il mondo, ma non prede mia l’amore per la propria terra”.
L’unità 2/3/80 in occasione del terremoto del Belice così si esprime sinteticamente su “Gibellina: Fuga di Notte”: “Il pittore ha colto la disperazione di chi, tenacemente attaccato alla sua terra, è costretto a fuggire mentre crollano paesi e casali. In esso il pittore è riuscito a recuperare il volto di una Sicilia tormentata, ma sempre viva, autenticamente attuale”. Nel 1981, in occasione della mostra presso la Galleria “Schettini” Milano la stampa milanese così si è espressa: “Giovanni Filippine ha negli occhi, che sia a Milano o a Parigi, i colori della sua terra, ma non ne è suggestionato, li ha assorbiti come cultura e attraverso il filtro della sua pittura tutto diventa lucido narrazione e tutto questo non lo veste più come un “pittore del Sud” ma ne fa un narratore di respiro, perché terra, amore e dolore sono dell’umanità, senza frontiere o, peggio, razzismi”.
In occasione del Consiglio per la tutela della Valle dei Templi di Agrigento così ha scritto la stampa 2 Aprile 1982, titolo dell’articolo: “I Templi, il Parco, un Pittore”: “Una valida iniziativa per la difesa della Valle dei Templi è stata realizzata dal nostro pittore G. Filippine che vive a Milano e, come scrive Sciascia, torna in Sicilia ad ogni estate per cogliere le reliquie del mondo contadino, di un mondo che è stato per secoli immobile e poi, come improvvisamente, nel giro degli anni sessanta, si è come dissolto”. Il Filippine, in occasione della 39° Sagra del Mandorlo in Fiore ha donato due lastre che rappresentano: “ Templi e una Capra” - “ Templi ed un Cavallo”. La capra simboleggia la bruta opera dell’ignoranza, dell’indolenza, dell’affarismo senza scrupoli; il cavallo, invece, lo slancio, la ripresa, l’intelligenza, la nobiltà degli ideali. Le incisione sono state distribuite a tutti i Comuni della provincia perché, affisse alle pareti dei palazzi comunali, servano da richiamo e da ammonimento e anche da rimprovero ai cittadini e specialmente agli amministratori perché non distruggono e non permettano che siano distrutti i momenti gloriosi del nostro passato, ma anzi vengono valorizzati con grande vantaggio di tutti.
Per concludere noi Sangiovannesi dobbiamo essere fieri del grande pittore, ma soprattutto orgogliosi per le numerose opere lasciate in Italia e all’estero. In Sicilia è doveroso ricordare ( Palermo - Palazzo d’Orleans - Palazzo Reale) un quadro ad olio: “Gesù Crocifisso”. Nel nostro paese sono numerose le opere presenti: Chiesa del Carmine; Piazza A. De Gasperi ( l’Immacolata); Cappella Cimitero Famigli Filippine – Verga – Guarino; Chiesa Madre; Chiesa S. Lucia (L’Ultima Cena e la Moltiplicazione dei pani e dei pesci) e in infine gli ultimi affreschi si trovano nella Chiesa di S. Domenico a Cammarata.

De Maria Maria Carmela, Claudio Manetta.

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